“NON SOLO BALOCCHI”:

L’infanzia nei documenti dell’AS di Padova

Giornate Europee del Patrimonio 2019 (21-29 settembre)

Questa mostra documentaria è stata allestita con l’intento di approfondire la conoscenza dell’universo infantile, nonché la cognizione che ne aveva il mondo degli adulti e le politiche messe in atto dalle istituzioni pubbliche negli scorsi secoli nella società padovana.

Le tematiche affrontate nel percorso – corredate da documenti conservati nei fondi del nostro archivio e da preziosi libri della biblioteca della famiglia Arrigoni degli Oddi, di recente acquisita –  erano molteplici: la salvaguardia dell’infanzia abbandonata, le campagne sanitarie volte a limitare la mortalità infantile, l’istruzione e l’educazione impartite ai fanciulli in età scolare, fino a toccare temi ludici, con uno sguardo anche all’editoria per ragazzi dei secoli scorsi.

L’esposizione di documenti prevedeva tre sezioni:

1. La salute e la tutela dell’infanzia.

2. L’istruzione

3. L’infanzia privilegiata e l’infanzia rinnegata.

Scarica l’opuscolo completo della mostra

 

1. LA SALUTE E LA TUTELA DELL’INFANZIA

(Estratto dal testo della pubblicazione edita per la mostra)

Benché in ogni epoca i bambini abbiano costituito una larga fascia della totalità dei malati, per secoli l’assistenza sanitaria mirata e di ambito “pediatrico” non ebbe carattere sistematico. Il contesto in cui, probabilmente, si riscontrava una maggiore e più costante attenzione alle norme igienico-sanitarie legate alla salute dei bambini è quello dell’assistenza al parto, dalla cura dei neonati a quella delle puerpere (cercare fonti). Non a caso, quando nel Settecento la Facoltà di medicina dello Studio patavino iniziò ad avvertire l’esigenza di una cattedra di patologia infantile, si pensò di collegarla all’insegnamento delle malattie femminili (ovvero di natura ostetrico-ginecologica).

A fronte di una società molto giovane (nel 1868, ad esempio, il 36% della popolazione padovana aveva meno di 20 anni, il 19% meno di 10 anni), la mortalità infantile rimase fino al XX secolo un fenomeno frequentissimo: il 50% dei decessi interessava individui di età inferiore ai 12 anni. In tale contesto già dal XVIII secolo le istituzioni statali e locali si prodigarono per garantire operazioni sanitarie preventive e un livello di assistenza idoneo a tenere sotto controllo le malattie infantili e, in genere, la salute dei fanciulli: dalla diffusione delle vaccinazioni, alla formazione specialistica ostetrica delle levatrici, alla copertura delle spese di balia per le famiglie indigenti.

Le prime campagne per l’“innoculazione del vajuolo”, pratica già in uso nell’Europa del secolo XVIII, furono introdotte dalla Serenissima Repubblica di Venezia nella seconda metà del secolo dei Lumi. Ne è testimonianza questa terminazione dei sopraprovveditori e provveditori alla Sanità del 1769, finalizzata a incoraggiare l’adesione volontaria della popolazione delle città di Terraferma alla nuova pratica medica, ancor prima dell’invenzione del vaccino di Edward Jenner nel 1796. La documentazione rivela particolare attenzione alla cura del bambino appena vaccinato, inerente non solo agli aspetti medici, ma anche al benessere generale. L’antivaiolosa fu resa obbligatoria dalle autorità dopo l’occupazione francese del 1796. Tuttavia la diffidenza della popolazione nei confronti della nuova pratica medica, soprattutto nei piccoli centri rurali, rappresentò un notevole ostacolo alla diffusione del vaccino.

Nel frattempo, la tutela degli orfani e dei bambini “meno fortunati”, rimasta per secoli in mano ad enti religiosi, passava nell’Ottocento alla sfera pubblica: orfanotrofi, asili d’infanzia e istituti simili, nella forma di opere pie laiche, offrivano assistenza sia dal punto di vista materiale che spirituale.

Ospedale di S. Francesco, b. 568, perg. 106r

Questo documento del 1348 vede protagonista Capellina degli Scrovegni, figlia di Rinaldo e sorella del più famoso Enrico (mecenate di Giotto), rimasta vedova negli anni in cui imperversava la peste nera in Europa. Le figlie orfane dovevano essere sottoposte alla tutela di uno o più adulti, che furono individuati dal defunto padre Rinaldo di Machonia nel testamento nel proprio testamento in due uomini di fiducia. La madre, membro di una della delle famiglie patavine più facoltose e potente, probabilmente suggerendo ai due di rinunciarvi, dovette comunque fare istanza all’ufficio dell Stambecco per ottenere la tutela delle quattro figlie minori, nonché dell’amministrazione dei loro beni mobili e immobili.

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2. L’ISTRUZIONE

(Estratto dal testo della pubblicazione edita per la mostra)

Se fino ai primi anni dell’Ottocento l’istruzione dei fanciulli era rimasta appannaggio di pochi, dipendendo dall’iniziativa privata della famiglia o da quella degli enti religiosi, con l’età napoleonica si ebbero tentativi, anche a Padova, di estendere la scolarizzazione tra la popolazione, almeno a livello di istruzione elementare. Solo con l’età austriaca, però, iniziarono a diffondersi sul territorio le scuole, mentre la sovrintendenza dell’istruzione primaria rimaneva attribuita ai parroci.

Nel 1865-66 a Padova esistevano 25 scuole elementari, frequentate da 1684 alunni (15% femmine). Con l’annessione e, più tardi, con le leggi Coppino (1877) e Orlando (1904), l’obbligo scolastico fu elevato a 3 anni di frequenza elementare e raggiunse l’età di 12 anni. Quali fossero i risultati si può giudicare dalla situazione scolastica padovana del 1907-08: 166 scuole, frequentate da 8261 alunni (44% femmine).

Rimanevano elitarie l’istruzione media e superiore: a titolo di esempio, il liceo S. Stefano di Padova (oggi Tito Livio), che contava 148 alunni nel 1819-1820, alla metà del XIX secolo non raggiungeva che i 400 iscritti “pubblici” (ovvero non privatisti). Quasi un secolo dopo, nel 1938-39, lo stesso istituto aveva 1.400 alunni (dei quali, 600 erano ragazze).

Al ginnasio, più tardi scuola media, anche con avviamento professionale, seguivano i licei o speciali istituti tecnici. Sul finire del XIX secolo, oltre al Liceo Tito Livio a Padova esistevano una Regia Scuola normale superiore maschile (con convitto), una Regia Scuola tecnica, il Regio Istituto tecnico G.B. Belzoni, la Regia Scuola magistrale femminile e una Scuola pratica d’agricoltura.

Nel 1923 il sistema venne modernizzato e normalizzato dalla riforma Gentile, destinata a delineare la struttura del sistema scolastico italiano nella forma che avrebbe mantenuto fino alla fine del secolo. Ampio spazio vi veniva dedicato all’istruzione umanistica, intesa quale strumento per la formazione delle classi dirigenti; vennero precisate, tuttavia, anche le funzioni degli istituti tecnici e delle scuole di avviamento professionale. Nell’ambito dell’istruzione elementare, veniva elevata l’età formale dell’obbligo scolastico a 14 anni.

Fondo Scuole, reg. 157

Registro di classe per le classi III femminili della città di Padova, anno scolastico 1899-1900.


3. L’INFANZIA PRIVILEGIATA E L’INFANZIA RINNEGATA

(Estratto dal testo della pubblicazione edita per la mostra)

Fino alla metà del XX secolo, il fattore economico-sociale fu l’elemento chiave nel determinare che tipo di formazione avrebbero ricevuto i bambini. Com’è evidente, in contrasto con le opportunità di crescita e di apprendimento offerte ai bambini dei ceti medio-alti, ai figli di genitori meno agiati si prospettava molto presto la necessità di contribuire alle entrate della famiglia.

Nonostante la volontà delle istituzioni, nell’Ottocento il lavoro infantile rimaneva estesamente diffuso, tanto da richiedere l’intervento normativo dello Stato per regolamentare la durata della giornata lavorativa e i limiti di età. Già nel 1843, il Regno lombardo-veneto aveva recepito la legge statale vietando il lavoro notturno dei bambini, le punizioni corporali sul posto di lavoro e fissando a 9 anni l’età minima dei lavoranti.

Ancora dopo l’annessione all’Italia, tuttavia, la situazione era preoccupante, registrandosi, nel lavoro dei fanciulli, una media oraria giornaliera estiva di 11 ore e 42 minuti e una media di 4 ore e 19 minuti di lavoro notturno (1875).

Benché la legislazione del 1886 e le successive modifiche avessero ribadito alcuni dei limiti imposti dalle norme preunitarie e fissato la giornata lavorativa infantile in 8 ore, l’impegno richiesto ai bambini nel lavoro nei campi, nell’opificio, a casa, o nella bottega di famiglia rimase un serio ostacolo alla loro scolarizzazione: a fronte dei provvedimenti dello Stato, l’analfabetismo, che nel 1871 a Padova arrivava al 40%, nel 1911 era ancora al 19%.

A fronte della condanna per l’abbandono di neonati da parte dei genitori, fin dal medioevo la società sentì l’obbligo morale di farsi carico degli infanti lasciati nelle famose ‘ruote’. Anche Padova ebbe il suo Istituto degli Esposti, la cui denominazione prima del diciottesimo secolo era “Ca’ di Dio”, ente già attivo come ospedale generico prima della fondazione del San Francesco.

L’istituto, che assicurava il mantenimento dei piccoli abbandonati e ne curava anche l’inserimento presso famiglie disposte ad accoglierli, raddoppiò nel corso dell’Ottocento il numero di accessi annui rispetto al secolo precedente, raggiungendo un massimo di 450 infanti accolti in un solo anni al principio degli anni Novanta del secolo.

Solo pochi ospiti degli Esposti avevano la ventura di tornare nella famiglia naturale ed essere legittimati: il recupero di un figlio abbandonato, quando la situazione economica o familiare lo consentiva, era reso possibile dai cosiddetti “segnali”, piccoli oggetti, medaglie, santini spezzati o tagliati a metà, necessari al riconoscimento e al ricongiungimento con la madre o con entrambi i genitori.

Istituto degli Esposti, b.1137, segnale n.70

Mezzo ritratto di bambina in matita (anno 1887)


Archivio Arrigoni degli Oddi, tomo 407

Album fotografico contenente ritratti di componenti della famiglia, di conoscenti e amici. Molte fotografie ritraggono bambini.